Rapporto Coop 2011. Consumi e Distribuzione

Ripresa e recessione sono temi che caratterizzano ancora, contemporaneamente, lo scenario economico mondiale del 2011.

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Ripresa e recessione sono temi che caratterizzano ancora, contemporaneamente, lo scenario economico mondiale del 2011.
Da un lato, continuano a crescere a ritmi sostenuti le economie dei paesi emergenti che hanno superato di slancio le transitorie difficoltà degli ultimi anni. All’opposto, nelle economie avanzate, ed in particolare negli Stati Uniti, l’eredità della recessione è tale da aver limitato di molto la velocità del recupero e compromesso la sostenibilità della debole ripresa iniziata nel 2009.
Per queste economie vengono al pettine i nodi non ancora risolti della crisi. Finito l’abbrivio offerto dalla eccezionale mole di interventi messi in campo da governi e da banche centrali, il ciclo economico pare nuovamente spegnersi. E, anzi, è proprio l’eccesso di indebitamento – a seconda dei casi, delle famiglie, delle banche, delle imprese, degli stessi Stati – ad ipotecare pesantemente il futuro. I prossimi anni, forse i prossimi decenni, saranno ostaggio della necessità di ripianarlo.
In questo difficile contesto si inserisce l’analisi sui consumi degli italiani e sull’evoluzione della distribuzione commerciale del Rapporto Coop 2011 che, anche quest’anno, si avvale della collaborazione scientifica di ref. e del supporto di analisi di Nielsen.

Il Rapporto sottolinea, innanzitutto, come l’Italia si trovi a dover fronteggiare gli squilibri dell’economia mondiale avendo beneficiato in maniera presso- ché nulla della recente ripresa internazionale. Anzi, la crisi del debito a livello mondiale coinvolge direttamente il nostro Paese, gravato da uno dei più grandi debiti pubblici del mondo. E se questa poteva essere considerata, sinora, una condizione strutturale da affrontare nel lungo termine, oggi, l’attacco dei mercati ed impone l’adozione urgente di politiche sin qui lungamente rimandate, riaccende gli interrogativi sul come arrestare l’ormai percepibile declino.

Il Governo italiano è oggi impegnato nella affannosa ricerca di un nuovo equilibrio dei conti pubblici che consenta di raggiungere presto il pareggio di bilancio e impedisca la speculazione sui titoli di debito pubblico italiani.
Ma i segnali che i detentori del debito pubblico italiano si attendono sono di due tipi. Da un lato, la certezza che il paese tornerà a spendere secondo le proprie possibilità e dall’altro, soprattutto, la progressiva riduzione del debito pregresso. In entrambi i casi – riduzione del deficit e del debito in rapporto al Pil – l’obiettivo non può essere raggiunto solo aumentando la pressione fiscale o riducendo la spesa ma è fondamentale per l’economica nazionale tornare a crescere, come il Rapporto Coop ha tentato di argomentare negli ultimi anni.
Spingere solo sulle entrate fiscali contribuirebbe, infatti, a deprimere ulteriormente la domanda interna, alimentando un spirale perversa in cui i maggiori introiti fiscali si rivelano insufficienti a compensare il deterioramento delle prospettive di crescita.

Occorre invece, ridare presto un futuro all’Italia e agli italiani. Solo riguadagnando l’orizzonte di una nuova prospettiva futura si potrà chiedere alle famiglie di intraprendere il percorso di inevitabile austerità che le attende.
Negli anni passati la ricetta di Coop è stata chiara. La crescita nel nostro Paese non può prescindere da un recupero dei divari sociali (giovani vs adulti, donne vs uomini, poveri vs ricchi) e da una nuova stagione di liberalizzazioni che elevi il dinamismo della società italiana, elimini le posizioni di rendita e offra nuove opportunità imprenditoriali ed occupazionali a chi merita di più.
In questo quadro, il Rapporto Coop 2011 dà conto dello stato di salute dell’economia delle famiglie italiane. Nel 2010 si è interrotta la fase di caduta del reddito disponibile degli italiani che è rimasto, comunque, di oltre sei punti percentuali al di sotto dei valori pre-crisi. Non è un caso, quindi, che i quattro quinti degli italiani siano convinti di vivere al di sotto o sul limite di uno standard di vita appena accettabile.
La crisi, inoltre, ha punito con particolare durezza gli anelli deboli del nostro sistema sociale, il Sud ed, in particolare, le nuove generazioni, ignorate dal mercato del lavoro e impossibilitate ad immaginare un proprio futuro.
Peraltro, negli ultimi anni i consumi si sono ridotti in misura inferiore alla caduta del reddito grazie al ricorso delle famiglie al risparmio. La quota di reddito non spesa dalle famiglie italiane è difatti diminuita di circa due punti nel corso della recessione e si colloca circa dieci punti più in basso rispetto ai valori degli anni ‘90. L’immagine di un paese di risparmiatori è definitivamente tramontata: il tasso di risparmio del paese è oggi inferiore a quello di Francia e Germania.

La spesa delle famiglie rimane comunque ampiamente inferiore ai livelli precrisi, con una distribuzione abbastanza peculiare. Geograficamente l’epicentro della caduta dei consumi è nelle regioni del Mezzogiorno, dove le possibilità di risparmio e lo stock di ricchezza erano già inferiori. Dal punto di vista sociale, penalizza in particolare i più giovani, dove la disoccupazione è arrivata a sfiorare il 30 per cento, soprattutto se con figli a carico.
Negli ultimi mesi, poi, è tornata a salire l’inflazione sulla spinta dei rincari delle materie prime nei mercati internazionali. I versanti più esposti sono quelli dell’alimentazione e del trasporto ma anche dai servizi pubblici non giungono segnali confortanti: i forti aumenti di molte tariffe e dei servizi di pubblica utilità (come acqua, rifiuti e trasporti urbani) contribuiscono ad accrescere il peso che si scarica sui bilanci delle famiglie.

In un siffatto contesto, non è un caso se i timidi segnali di recupero della spesa monetaria delle famiglie manifestatisi negli ultimi mesi siano stati pressoché interamente assorbiti dall’aumento dei prezzi e dalle spese obbligate come gli affitti, le utenze, i carburanti, la sanità, i servizi sociali.
Restano, invece, ampiamente negativi quei consumi che caratterizzano il modello di spesa delle famiglie italiane. Arretrano ancora i consumi di abbigliamento e calzature, gli alimentari, i durevoli per la casa. Ripiegano pesantemente gli acquisti di auto dopo la fiammata del 2009 dovuta agli incentivi.
Eccezion fatta per smartphone e tablet, tornano negativi anche i consumi di prodotti tecnologici che erano stati nel 2010 una delle poche note positive della spesa delle famiglie italiane.

Tali trend si proietteranno, con ogni probabilità, nei prossimi anni, quando si potrebbero, in alcuni casi, accentuare le intonazioni negative sin qui evidenziate.
Le famiglie, infatti, a lungo rimaste in attesa della ripresa, hanno probabilmente compreso che questa, almeno a breve, non ci sarà più. E’ ora possibile che possano operare una riflessione più profonda sui propri stili di vita, sperimentando nuovi equilibri nelle scelte di consumo e tornando ad innalzare il tasso di risparmio per fare fronte alla accresciuta incertezza sul futuro.
Quello che inizialmente poteva essere un aggiustamento momentaneo delle abitudini di spesa, traguardato al superamento della difficile congiuntura, oggi potrebbe trasformarsi in una nuova fase di austerità e contenimento della spesa. In questa ottica, le prospettive per il consumo, già ridotte al lumicino nella prima parte dell’anno, risultano sensibilmente deteriorate.

Il Rapporto, com’è ormai consuetudine, approfondisce, inoltre, l’andamento dei beni del largo consumo nella grande distribuzione, un osservatorio privilegiato dei comportamenti di acquisto e di consumo degli italiani.
Si assiste, in questo caso, ad un ritorno ai consumi in ambito domestico, alle colazioni in famiglia, alle cene tra amici, che premiano le vendite della grande distribuzione a discapito dell’outdoor. Crescono dopo alcuni anni gli acquisti di prodotti di base come l’olio d’oliva, il latte uht, il tonno in scatola. Si conferma la preferenza degli italiani per i prodotti pronti e per quelli etnici, espressione di una popolazione che cresce grazie al contributo dell’immigrazione e del sostegno alla natalità offerto dai nuovi residenti. Aumenta l’attenzione agli sprechi e al risparmio che si concretizza nei minori acquisti di acqua minerale, detersivi, di ortofrutta. Perdono smalto, invece, i driver della salute e del lusso, a testimoniare che anche per quella quota di famiglie che aveva superato indenne la fase acuta della crisi è arrivato il tempo delle rinunce.

Riprende quota il fenomeno del downgrading della spesa, ovvero la capacità dei consumatori di ricomporre la spesa quotidiana nel tentativo di recuperare potere d’acquisto a parità di consumi. Le famiglie continuano ad operare una sostituzione tra le referenze e tra i punti vendita: il prodotto di marca è acquistato se sostenuto dalle promozioni, mentre una quota crescente di famiglie si orienta verso il prodotto a marchio commerciale. Il supermercato si conferma il luogo d’acquisto preferito dagli italiani, anche se il forte sviluppo delle vendite nei discount rivela che la fedeltà al formato si scontra con la necessità di fare quadrare i bilanci familiari.

Il Rapporto illustra, infine, gli effetti che la crisi ha prodotto sulle dinamiche della distribuzione commerciale e del commercio in generale.
Le vendite del commercio al dettaglio non hanno ancora recuperato i valori pre-crisi; tale contrazione ha colpito in maniera particolarmente dura il piccolo dettaglio, senza, però, risparmiare i grandi operatori della distribuzione moderna.
Ma, negli ultimi anni si è ridotto, soprattutto, il valore aggiunto del settore, peraltro in misura molto più marcata di quello dell’intera economia. A dispetto di tali difficoltà gli occupati del settore sono diminuiti nell’ultimo triennio solo dell’1,2%, quindi, in misura largamente minore rispetto agli altri settori; il dettaglio dimostra di essere, nonostante tutto, uno dei settori economici maggiormente dinamici in termini di nuovi investimenti e opportunità imprenditoriali.

In sostanza, il dettaglio sembra accentuare quel recupero di efficienza iniziato oramai da alcuni anni che tende a comprimere i costi e i margini delle imprese a vantaggio del potere d’acquisto del consumatore finale e senza una significativa perdita di posti di lavoro.
Protagonista di tali andamenti è certamente l’affermazione della grande distribuzione che, sebbene presenti ancora significativi gap di sviluppo rispetto agli altri grandi paesi europei, garantisce oramai una consolidata presenza in tutti i territori italiani.
Non è un caso che, la grande distribuzione italiana è stata quella che a livello europeo ha manifestato la minore crescita dei prezzi, a tutto vantaggio del consumatore finale.
Tale sforzo si manifesta chiaramente nei bilanci delle imprese distributive che fanno segnare infatti una riduzione delle marginalità e dei risultati netti, che invece non appare con la stessa chiarezza nei bilanci dell’industria alimentare.
Anche in questo caso, il Rapporto sottolinea come le marginalità operative della Gdo italiana siano di gran lunga più basse di quelle degli altri paesi europei.
Queste difficoltà economiche trovano riscontro nella stessa morfologia della rete moderna. La crescita delle superfici di vendita rallenta bruscamente nella prima metà del 2011: alla continua crescita dei discount e dei superstore si associa, infatti, un consolidamento delle grandi strutture e, per la prima volta, una riduzione dei punti vendita di superficie minore, segnatamente nei contesti territoriali più evoluti.

In questo senso, pare definitivamente avviato un processo di riconfigurazione settoriale molto profondo. Il turnover dei punti vendita ha riguardato in appena due anni e mezzo quasi il 30% della rete. E altrettanti sono stati i punti vendita che hanno cambiato network imprenditoriale con una forte impennata rispetto al passato. Questa circostanza segnala l’ormai avvenuta entrata del settore in una nuova fase di maturità. Prevalgono oramai logiche di competizione intra-canale acuite dalla debolezza endemica del mercato finale e dalle difficoltà dei consumatori-clienti.
Le dinamiche nazionali trovano poi declinazione autonoma nei singoli contesti territoriali che divergono spesso dalle tendenze aggregate. In questo contesto, ad esempio, è utile notare come l’incremento delle vendite realizzato nell’ultimo triennio dalla Gdo italiana si concentri in un numero ristretto di province, mentre tutti gli altri territori, anche in corrispondenza di incrementi cospicui della rete di vendita, sembrano soffrire maggiormente gli effetti della crisi.